LETTERS



COMPOSTI ORGANICI VOLATILI

“L’utilizzo di erbicidi e pesticidi ed i correlati anche indiretti (leggi COV ovvero composti organici volatili) rappresenta per la nostra integrità psicofisica una sfida senza paragoni. Le sostanze di cui sopra a cui in realtà si dovrebbero aggiungere anche farmaci, fumi, formaldeide, vernici, solventi, metalli pesanti ecc.. spacciate spesso per utili se non necessarie a vari titoli determinano longitudinalmente danni subdoli e permanenti somatici e germinali (e non) con ricadute in termini di invalidità, disfunzioni e mortalità di imminenti e prevedibili drammatiche proporzioni. Una rivoluzione copernicana nello stile di vita e prima ancora nella percezione acculturata del danno si impone come flebile e solo tentativo di riduzione di mortalità-morbilità per le generazioni future. Una grande messe di dati sperimentali ed epidemiologici obbligherebbero alla abolizione di queste sostanze se non altro per il più elementare principio di precauzione. Delle 400 sostanze più pericolose peraltro il danno presunto è solo monotossicologico ovvero s’ignorano le interazioni sinergiche e negative legate alla pluriassunzione. D’altronde l’inquinamento indoor è 7 volte quello outdoor e le sostanze chimiche potenzialmente mutagene sono varie migliaia. E’ necessaria dunque una assunzione di responsabilità della classe politica e dirigenziale per invertire l’attualizzazione dell’istinto di morte che forze non etiche e money-oriented alimentano nell’apparente indifferenza e/o ignoranza di chi a decisioni strategico programmatiche è chiamato dalla collettività.”

Dott. Massimo Formica

Medico - Neurologo
Membro dell’ Associazione Medici per l' Ambiente (ISDE - ITALIA)


STRAGE DELLE API: NEONICOTINOIDI E NON SOLO - GIANNI TAMINO

“La sospensione dei neonicotinoidi ha rappresentato un passo importante per la battaglia a favore dell’apicultura e, in generale, per la difesa della biodiversità naturale, ma pensare che i neonicotinoidi siano gli unici responsabili della attuale moria delle api è riduttivo, perché tutti i composti utilizzati come insetticidi o fitofarmaci, hanno un impatto sulla biodiversità.

Ci sono infatti molte altre sostanze chimiche usate in agricoltura o nelle disinfestazioni aeree (ad esempio quelle ormai così di moda per combattere le zanzare) che incidono, magari in maniera meno evidente, ma, inevitabilmente, sulla vita delle api e degli altri insetti
Il problema è che la differenza rispetto ai neonicotinoidi, qualche volta può essere la distanza e la persistenza di tali composti, ma non c’è alcun tipo di insetticida che sia innocuo per gli insetti di qualunque specie, compresi quelli per noi utili, come le api, basti ricordare come, in passato, ne sia stata pesantemente danneggiata la coltura del baco da seta, ed anche allora per gli allevatori l’uso dei pesticidi fu un problema rilevante.

Il raggio di azione dei composti chimici può essere più o meno elevato. A seconda della persistenza e della degradabilità, continueranno infatti ad agire, anche trasportati dall’aria, con la possibilità di espandere la loro attività e danneggiare qualcosa di utile. Ricordiamo che l’attuale tendenza è quella di privilegiare prodotti molto persistenti, dato che, con una sola “spruzzata”, si ottiene un effetto duraturo nel tempo, ma è proprio quello che crea i danni maggiori.

Perché ci meravigliamo che muoiano le api?

Quali e quanti tipi di pesticidi vengono usati nelle campagne e in altre situazioni ambientali?

Ogni anno, ad esempio, per contrastare le zanzare, vengono immesse nell’ambiente migliaia di tonnellate di insetticidi di sintesi, senza considerarne la tossicità, la degradabilità e la sinergia, benché sulle relative schede tecniche venga esplicitamente dichiarato che uccidono le api.
Viene permesso a chiunque di diffondere tali sostanze, ovunque, anche nelle aree protette in cui vige per legge l’obbligo di tutela della biodiversità. E, mentre in agricoltura le irrorazioni chimiche sono vietate durante il periodo di fioritura delle piante, per quanto riguarda la distruzione delle zanzare e di altre forme di vita ”molesta”, gli interventi di disinfestazione, ormai da anni, vengono acutizzati, in modo insostenibile, nella stagione che va dalla primavera all’autunno, quindi proprio nel periodo di massima attività delle api bottinatrici.

Inoltre pare sia poco noto o non preso in considerazione, il fatto che tra le zanzare moriranno soltanto quelle colpite direttamente dall’insetticida e le superstiti riprodurranno immediatamente una popolazione più resistente, mentre gli insetticidi depositati sulle piante ed ogni altro tipo di superficie, accumulandosi nell’ambiente insieme ai prodotti della loro degradazione chimica, fotochimica e biologica, continueranno a seminare, a catena, la morte.

Infatti, non stanno scomparendo solo le api, l’allarme riguarda anche molti altri utili organismi come le coccinelle, le lucciole, le farfalle, le libellule, gli anfibi, le rondini, i pipistrelli, ecc., i quali, anche se non danno un beneficio economico, debbono essere comunque attentamente considerati, perché importanti indicatori della salute ambientale.

E la salute umana?

Purtroppo, nella bibliografia scientifica, ci sono continue evidenze di eventi tossici legati all’uso di disinfestanti di differente natura anche per la salute umana: malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson, Sclerosi multipla), danni al sistema endocrino e riproduttivo (sterilità, malformazioni neonatali, asma, allergie), tutte patologie in grave aumento negli ultimi anni (specie nei più indifesi, i bambini e gli anziani) proprio a causa dell’inquinamento chimico senza contare l’importante concausa alla genesi di tumori.

Perché non dovrebbero risentirne le api?

Usare le bombe per distruggere l’avversario non risolve sempre i problemi, spesso aggrava solo la questione. Proficuo è, invece, creare la condizione perché vi sia un equilibrio in cui la parte che ci dà fastidio sia tenuta sotto controllo.
Poiché il mantenimento della biodiversità è fondamentale, per evitare problemi occorre conservare il maggior numero possibile di specie presenti in ogni ambiente, evitando, tra l’altro, le nebulizzazione aeree, l’immissione degli insetticidi di sintesi nelle acque e diminuendo i prodotti chimici in agricoltura.

E’ perciò indispensabile ed improcrastinabile riportare sia l’agricoltura che i trattamenti di difesa, ad un sistema basato non sulla totale distruzione degli insetti, ma sull’equilibrio naturale in modo che ogni organismo non sia più considerato soltanto nocivo, ma parte integrante di un contesto nel quale possa vivere in quantità contenute, senza creare danni.

Un plauso, quindi, agli apicoltori che hanno ottenuto la sospensione dei neonicotinoidi, ma occorre ricordare che ciò rappresenta solo l’ inizio.”

Prof. Gianni Tamino

• Docente di Biologia presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Padova dal 1974
• Membro del CSA
• Membro della Camera dei Deputati dal 1983 al 1992
• Membro del Parlamento Europeo dal 1995 al 1999
• Membro del Gruppo di lavoro del Ministero delle Politiche Agricole e del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare
• Ha svolto ricerche sugli aspetti fisici e molecolari del flusso d'informazione genetica, sugli effetti mutageni e cancerogeni degli inquinanti ambientali e, più recentemente, sui rischi biologici dei processi e dei prodotti frutto delle moderne biotecnologie e dei campi elettromagnetici (CEM).
• Ha pubblicato numerosi articoli su riviste a carattere scientifico, culturale e divulgativo. Ha partecipato a numerosi Convegni e a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche. E' autore, con Fabrizia Pratesi, del libro "Ladri di geni", pubblicato a gennaio del 2001 dagli Editori Riuniti e del libro "Il bivio genetico" pubblicato nel 2001 dalle edizioni Ambiente.


"ZANZARE E RISAIE" - GIORGIO CELLI

Il 12 ottobre 2006, l’EMCA (European Mosquito Control Association), ha organizzato ad Alessandria il Simposio Internazionale “ZANZARE E RISAIE”, per fare il punto sui vari metodi di lotta alle zanzare, soprattutto in zone che, per il modo in cui viene attualmente effettuata la coltivazione del riso, risultano particolarmente infestate. Il prof. Giorgio Celli, noto Entomologo, Ordinario Dip. Scienze e Tecnologie Agroambientali dell’Università di Bologna, uno dei massimi esperti in materia, dopo aver ascoltato gli interventi dei numerosi Relatori, così si è espresso:

Credo che oggi abbiamo fatto molta retorica. Se vi dovessi dire che il prossimo anno sarà meglio dell’anno passato mentirei e tutti sappiamo di mentire, in realtà il problema delle zanzare in risaia non lo risolviamo oggi qui, quindi l’anno che verrà sarà come quello passato. La lotta alle zanzare deve cambiare rotta ma questo non lo potrà fare in un anno dovrà farlo in diversi anni. La lotta alle zanzare fino ad oggi come è stata considerata? Io non mi occupo particolarmente di risaia, mi occupo di zone umide, sono il coordinatore del comitato scientifico del Parco del Delta del Po Emiliano Romagnolo e membro del comitato del Parco del Delta Veneto. Il dottor Bellini è un mio collaboratore, io sono presidente di quel Centro Agricoltura Ambiente che ho fondato. Bene ha fatto l’architetto Caprioglio a citare Bellini perché lui è il nostro asso nella manica. La lotta alle zanzare l’ho un po’ seguita e devo dire che abbiamo cominciato nel mio istituto, questo la bellezza di una trentina di anni fa. Come è stato considerato il problema delle zanzare? E’ stato considerato in maniera drastica e un bravo ecologo sa che le cose drastiche di solito non risolvono il problema. Abbiamo affrontato molti problemi di organismi dannosi e del loro contenimento per esempio i colombi in città; chi ha deciso che i colombi in città vanno combattuti uccidendoli ha fallito il compito. I colombi in città dove sono stati drasticamente uccisi, si è fatto una specie di genocidio, sono cresciuti di numero. Oggi a Venezia, dopo il genocidio, sono molti di più di prima. Un altro esempio sono le mosche negli allevamenti delle ovaiole: più pesticidi date più mosche avete. E vi dirò ancora di più: un problema per esempio è quello del capriolo in Germania, se si prelevano un milione di caprioli con la presunta caccia di selezione, continuano a crescere e a minacciare le foreste, altri 100 mila finiscono sotto le automobili e continuano a crescere, perché? Perchè Darwin insegna che le forti pressioni selettive spesso evocano risposte egualmente importanti. Nel caso delle zanzare dovete ad esempio considerare quello che è successo per la Culex pipiens nei dintorni di Montpellier. A seguito dei trattamenti con fosforganici sono comparsi ben 4 mutazioni favorevoli successive che hanno favorito la sopravvivenza della zanzara invulnerabile a tutti i fosforganici. Fortunatamente che oggi col B.t.i., essendo composto da 4 forse 5 forse 6 tossine è ben difficile avere delle resistenze, perché queste tossine tra loro svolgono funzioni surrettizie quindi è difficile. Però bisogna stare attenti. Il problema delle risaie è che occorre riconvertire la maniera di coltivare, solo così possiamo ottenere un risultato durevole e non è questione che si possa fare in un anno. Quando ero parlamentare europeo, nella passata legislatura, ebbi l’occasione di occuparmi del riso per il problema delle eccedenze produttive. Attualmente ci sono ancora eccedenze produttive e voi sapete che il riso è molto difficile da conservare, quindi costa molto conservarlo e le eccedenze produttive sono molto costose, sono un vero danno, in quella circostanza avevo preparato un piccolo progetto dicendo che tutto sommato si poteva rimediare alle spese considerando un aspetto importante delle risaie, cioè che le risaie sono anche delle zone umide virtuali, una parte di queste risaie in eccedenza poteva essere sottoposta a un nuovo tipo di gestione che consentisse la conservazione delle acque e nello stesso tempo favorisse le interazioni faunistiche. Noi sappiamo che le zanzare sono un aspetto di quello che l’agricoltura industriale ha sempre prodotto. Qual è il danno dell’agricoltura industriale principale? Non è solo l’inquinamento, l’inquinamento è una conseguenza, il danno è la semplificazione. Quando si trasforma un ecosistema complesso in un agroecosistema, spiantate tutta la biodiversità botanica da un certo territorio. Nei territori messi a coltura nella Siberia, per esempio negli anni ‘20 quando la Russia ha rilanciato i grandi programmi agricoli, cosa è successo ? Si è visto trasformare un territorio dove crescevano 50 piante in uno dove cresceva una sola pianta. Questo rende il sistema evidentemente fragile per cui alcuni di quegli organismi che erano presenti e che si controllavano vicendevolmente sono passati sulla nuova coltura e lì hanno trovato da mangiare in abbondanza e condizioni particolarmente favorevoli e sono diventati infestanti. Il vero pericolo del campo coltivato è quello di essere semplificato e in più di essere coltivato con piante che l’uomo ha protetto fin dalle origini e le ha rese estremamente fragili ed instabili. Sono dei suoi figli viziati, alcune di queste senza di noi non si riprodurrebbero più. Pensate per esempio al mais. Quindi si potrebbe vedere se per caso non si possa fare in una parte delle risaie una zona umida. Se questa non possa costituire per gli agricoltori un reddito nel senso di quella agricoltura multifunzionale di cui da tempo parla il parlamento europeo. Che cos’è l’agricoltura multifunzionale? È un’agricoltura che prevede che non è solo il prodotto agricolo che da un reddito all’azienda, ma potrebbe essere anche una forma di agriturismo e possiamo immaginare che il popolamento degli uccelli di queste nuove zone virtuali potrebbe esser oggetto di osservazione e di conseguenza anche di favorire un certo circuito turistico e quindi un certo circuito enogastronomico. A cui poi dovrebbe essere legata la coltura di risi locali che evocassero la storia e la cultura. Si va a tavola con il desiderio di andare a tavola con i propri padri, quindi le vecchie varietà di riso, gli antichi risotti, quindi costruire tutto questo reticolo e questo sistema importante. Quella poteva essere una delle proposte e secondo me su questa via dobbiamo proseguire. Dobbiamo ricomplicare ciò che abbiamo eccessivamente semplificato. Le risaie sono oggetto di un pesante inquinamento, diciamocelo chiaramente. I prodotti del Piemonte saranno i più sani possibili, questo me lo auguro, non voglio confutarlo, ma so che il problema dei residui nei prodotti agroalimentari è semplicemente passato di moda non si è risolto. Ad esempio le carote sono inquinate, quelle spagnole e quelle nostre sono inquinate più dell’80% sopra i limiti vigenti. C’è anche un aspetto nuovo da considerare. Quando un erbicida si può usare a dosi molto basse è necessaria prudenza perché le dosi molto basse fanno si che i residui finiranno sotto il livello di sensibilità strumentale, non saprete più dove vanno, nè come vanno, nè dove verranno metabolizzati. Se un grammo di erbicida può essere messo in un ettaro pensate a quale attività straordinaria deve esercitare questo grammo di sostanza chimica e allora questo è tranquillizzante? No io preferisco che si possa controllarli di più. Quindi le risaie ora usano erbicidi che magari non si trovano nella falda perché i residui sono diventati introvabili perchè sotto il livello strumentale, però sono residui da considerare con cautela. In questa ristrutturazione del sistema di lotta alle zanzare io non ho nulla di immediato da suggerire. La guerra alle zanzare l’abbiamo già perduta, possiamo tentare di vincere qualche battaglia oppure nel lungo periodo possiamo stilare un trattato di pace con loro che consista nella coesistenza. Anche la zanzara serve. Per esempio nel delta del Po si inserisce nelle catene alimentari e quindi in qualche modo bisogna venire a patti con la zanzara. L’idea di eradicarla può essere legittima solamente se noi tentiamo di fare autocidio per la Zanzara Tigre, quella non è nostra e possiamo tentare di eradicarla. A proposito degli organismi utili: ne ho sentito parlare e spendo subito una parola dicendo qualcosa di profondamente impopolare presso gli ecologi. Io sono d’accordo che alla Gambusia bisogna dare il certificato di cittadinanza è un’immigrata non clandestina perché l’abbiamo presa noi verso gli anni ’20, ma agli immigrati non vogliamo dare la cittadinanza se lavorano e sono utili? Allora vediamo di darla anche alla Gambusia perché ci dia una mano nel controllo delle zanzare perché la licenza della biodiversità è più un fatto teologico fondamentalista che un dato scientifico. La biodiversità del pianeta è cambiata radicalmente. Voglio farvi solo un esempio, per concludere questo mio estemporaneo intervento. Un giorno mi sono trovato in Costa Azzurra con un botanico. Ad Antibes c’è il più grande laboratorio di lotta biologica della Francia. Questo botanico mi ha detto: vedi questa rigogliosa vegetazione? Ai tempi di Giulio Cesare non c’era quasi niente, c’era solo la quercia verde, qualche olivastro, c’era una palma nana, tutto il resto è venuto dall’America, dall’Africa, dal Medio Oriente. Il mandarino e le arance sono venute dalla Cina, la petunia dal Perù, l’agave dal Messico, l’aloe dal Sudafrica, i gerani anche, questi bei platani che vedi in quel famoso viale da dove vengono? Sono ibridi che vengono da Oxford dove c’era una pianta di platano che è stata ibridata da un platano derivato dalla Turchia e l’altro proveniente dagli Stati Uniti. Allora signori cerchiamo di essere un pochino seri: il rimescolamento delle specie animali e vegetali sul pianeta è avvenuto da sempre. Ieri sera mi sono mangiato la polenta, mi risulta che il mais è una pianta alloctona. La gambusia può dare un contributo importante nella lotta alle zanzare. Cerchiamo di rivalutare anche i pipistrelli, che in definitiva sono organismi che ci hanno insegnato un sacco di cose, come lo sviluppo del sonoro acustico. Alcune specie sono dei grandi mangiatori di zanzare. Nei pressi di un parco in Romagna dove c’è una grotta con pipistrelli non ci sono problemi di zanzare perché se ne pappano un migliaio per tutte le notti quando è estate. C’è una legge del 1935 che li protegge proprio per il ruolo che avevano nel combattere la malaria. Non devono essere considerati determinanti, però tutte queste cose vanno integrate. Le risaie trasformandole in parte in zone umide, in parte ripopolandole, in parte convertendole a un’agricoltura biologica. Io non sono un tecnico di agronomia ma qualcuno sostiene che le pre-erpicature, fatte prima di cominciare la coltura servano molto per le erbacce. Non pretendo che le mondine tornino a trapiantare o a diserbare, però tutto sommato forse ci sono metodi un po’ diversi per coltivare. Attenzione a un fatto: già quando ero parlamentare la PAC stava profondamente cambiando. Il sostegno del prodotto diventerà sempre più problematico e rivolto all’azienda, chiedendo che l’azienda produca non solo cibo ma anche ambiente, diventi multifunzionale, curi anche il paesaggio. Allora stiamo attenti a decidere perché se anche avessimo i soldi per dare B.t.i. su tutta la risaia piemontese e lombarda, non sarebbe una buona soluzione, perché ci costringerebbe a dare lo stesso B.t.i. tutti gli anni. Oggi l’ecologo consapevole propone invece di capire se si può tentare di rimettere in equilibrio alcune strutture sempre con questa filosofia di dire “le zanzare non devono sparire anche se potessimo non le dovremmo far sparire, impariamo a coabitare con loro, però che la loro presenza sia tollerabile”. Perché come direbbe San Francesco, io non sono credente ma lo cito spesso, anche loro sono creature del Signore.

Prof. Giorgio CELLI

Ord. Dip. Scienze e Tecnologie Agroambientali, Univ. di Bologna



TOSSICOLOGIA e CHIMICA
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LA TOSSICOGENOMICA: QUAL' E' L'IMPATTO DEGLI INSETTICIDI SULLA SALUTE ?
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COME AFFRONTARE LA LOTTA

“L’emergenza “zanzara tigre” ha stimolato un proficuo confronto fra quanti sostengono che la lotta contro questo insetto debba avvenire con tutte le armi possibili e quanti invece ritengono che qualunque iniziativa non possa prescindere da una cultura della sicurezza e dell’ecosostenibilità, nella logica del principio di precauzione a protezione dell’ambiente e dei cittadini.
Voglio tornare su questa discussione evidenziandone alcuni aspetti non sempre chiaramente esaminati.

E’ quasi ovvio: se vogliamo eliminare un inconveniente legato alla presenza di un organismo vivente (zanzare, mosche, insetti in generale, meduse, piante orticanti ed infestanti, alghe tossiche), siamo obbligati a correre il rischio di danneggiarne qualche altro contro cui non erano rivolte le nostre iniziative, primo fra tutti l’uomo stesso.
Ciò deve indurci a considerare con attenzione alcuni punti fondamentali prima di selezionare e scegliere i prodotti aggressivi da adottare ed il loro modo d’uso.
Per quanto riguarda i prodotti, se ne devono considerare alcune fondamentali caratteristiche:

- la tossicità che non deve essere elevata, sicuramente non inferiore a qualche migliaio di mg/kg come LD50, deve essere possibilmente specifica verso la specie che si vuole attaccare e deve caratterizzarsi per effetti che siano quanto più possibile reversibili
- la ecopermanenza che dipende dalla degradabilità del composto in esame, riferita sia all’azione chimica (interazione con altri composti smaltiti nell’ambiente), che fisica (interazione con la luce solare) e biologica (interazione con microrganismi).
- c’è poi il nodo praticamente irrisolto (e purtroppo quasi irrisolvibile) del sinergismo (o dell’antagonismo) fra l’azione di differenti composti contemporaneamente presenti, che obbligherebbe a valutazioni più attendibili, basandosi sull’effetto più che sulla causa di una data esposizione.


A corollario assolutamente non secondario di questa prima parte del discorso, c’è un commento da fare relativamente ai valori della tossicità come riportati dalla letteratura scientifica:
I valori non sempre sono attendibili, tenuto conto che si basano su sperimentazione animale le cui risultanze non sono “sic et simpliciter” trasferibili a specie diverse da quelle sulle quali il test di tossicità è stato eseguito.
Questa mancanza di totale attendibilità impone l’abbandono di una metodologia che sacrifica organismi viventi senza la certezza di potere, con i suoi risultati, giovare a moltissimi altri.
Ormai la ricerca scientifica ha fatto grandi passi in avanti, rendendo possibili ed affidabili test biologici in vitro, arrivando persino a realizzare la reazione diretta fra composto da testare e sito recettore, enucleato dal sistema biologico monitor, che viene quindi preservato e risparmiato.
C’è da dire che la sostituzione di un metodo con un altro, ai fini dell’ufficialità del risultato, è difficile in quanto la bibliografia scientifica, che fornisce i dati e i valori di riferimento, si basa sul metodo passato. Per un confronto dei risultati, il metodo innovativo ha bisogno di creare un database di valori di riferimento che, attualmente, ancora non abbiamo, in modo esaustivo, per i metodi alternativi, ma la loro diffusione dovrà essere perseguita con coraggio e determinazione.

L’altro punto riguarda le forme ed i modi di intervento per ciascuno dei quali si possono individuare vantaggi e svantaggi:

• La volatilizzazione garantisce rispetto alla totalità dello spazio da preservare, ma è caratterizzata dallo stato aereiforme della somministrazione, che è il più veloce della materia a trasferirsi, quindi anche ad interessare aree e spazi esterni a quelli interessati.
• Inoltre, a parità di quantità di principio attivo utilizzato, la superficie di contatto con il bersaglio (cercato e/o coinvolto) è massima, come massimo di conseguenza è quindi il consistente e conseguente rischio di danno biologico.
• D’altra parte l’adozione di immissioni iniettanti di tossico in acqua (spesso veicolo e sede infettivi) attraverso, ad esempio, il sistema fognario, non tiene conto del fatto che soltanto nel caso di idrosolubilità elevata la soluzione che ne deriva si comporta da sistema omogeneo. In mancanza di tale requisito l’azione aggressiva non risulta continua e può addirittura corrispondere ad alternanza, nel tempo e nello spazio, di condizioni di nessuna tossicità e di massima tossicità, con evidente discontinuità anche nell’efficacia del trattamento.
• Molti dei prodotti che fungono da insetticidi e larvicidi sono poco solubili in acqua, dal che si può comprendere come il loro utilizzo in fogna non sia garantito per un risultato ottimale. All’interfaccia con l’aria, si produce “un’atmosfera locale” per la quale il contenuto in principio attivo è funzione, oltre che della temperatura e della pressione, della volatilità relativa solvente/soluto e della composizione della fase liquida. Tali condizioni non sono sempre tali da assicurare, per i composti di uso più diffuso, un’efficace azione disinfestante.

Tutto quanto detto deve fare comprendere che non esiste una soluzione ideale e come, qualunque intervento si esegua, non si possa prescindere mai da una preliminare valutazione dei danni possibili arrecati direttamente o conseguenti, all’ecosistema in cui viviamo, a noi stessi, ai nostri simili, agli animali domestici che amiamo, al verde, alla diversità biologica.
Ed allora una certa tolleranza, soprattutto nei casi di inconvenienti fastidiosi, ma non pericolosi, l’uso degli antidoti biologici, gli accorgimenti suggeriti da tecnici e responsabili, sembrano atteggiamenti non solo utili, ma responsabili, necessari e dovuti. “

prof. Luigi Campanella

Ordinario di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali
Docente di Chimica Analitica e di Chimica degli Alimenti all’Università “La Sapienza” di Roma
Presidente della Divisione di Chimica Analitica della Società Chimica Italiana e di quella di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali



UNA LEGGE PER TUTELARE ANFIBI E HABITAT RIPRODUTTIVI

Molti gruppi faunistici appartenenti alla cosiddetta “fauna minore”, come gli Anfibi, i Rettili, i piccoli Mammiferi e gli Invertebrati, rappresentano al giorno d’oggi dei validissimi “sensori ambientali” tanto da essere considerati a livello internazionale come indicatori biologici dello stato di salute di un ecosistema. D’altra parte la fauna eteroterma ed i biotopi d’acqua dolce – di importanza strategica per il multiforme mondo della cosiddetta “piccola fauna” – sono da alcuni anni considerati a rischio di scomparsa o si presentano, nella migliore delle ipotesi, in uno stato di salute tutt’altro che buono (vedi ad esempio, il lavoro di: SCOCCIANTI, 2001).
A livello europeo la Convenzione di Berna, stipulata il 19 settembre 1979, e la Direttiva 92/43/CEE, meglio conosciuta come direttiva “Habitat”, dettano norme chiare e precise per la salvaguardia della biodiversità animale e vegetale, e per la conservazione degli habitat naturali e seminaturali. L’Italia ha in parte ratificato queste norme internazionali dapprima con la Legge 503 del 1981 e poi con il D.P.R. n. 357 del 1997 (modificato dal D.P.R. 120/2003), cui molte Regioni – in assenza di una vera e propria legge quadro nazionale rivolta specificatamente alla conservazione della biodiversità in generale – si sono ispirate per aggiornare la propria legislazione in materia di tutela di flora, fauna ed habitat.
Il quadro normativo per la tutela della “fauna minore” è piuttosto variegato e complesso e si parte, in ogni caso, da un grave handicap applicativo: la mancanza, sia nella direttiva Habitat che nelle norme nazionali di ratifica, di sanzioni per eventuali inadempienze, il che di fatto ne riduce notevolmente il potere deterrente e ne limita fortemente l’efficacia (si legga, ad esempio, il lavoro di: SCALERA, 2003). Analizzando le singole leggi regionali e provinciali emerge poi un quadro tutt’altro che uniforme e assolutamente inefficace per le finalità di tutela e conservazione su scala locale e nazionale: alcune norme vanno a tutelare, ad esempio, solamente alcune specie presenti nel territorio (Lombardia, Provincia autonoma di Trento), altre hanno lo scopo principale di regolamentare il prelievo tout-court di rane a scopo alimentare senza dire nulla o quasi in termini di conservazione (es: Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto), altre ancora risultano essere in apparente contrasto con le rispettive leggi sulla pesca (Friuli Venezia Giulia, Umbria), mentre in alcuni casi i testi presentano lacune, imprecisioni e inspiegabili omissioni e sviste, che vanno dalla protezione di specie alloctone (come nel caso, ad esempio, della Rana toro in Piemonte o della testuggine Testudo greca in Liguria) alla mancata tutela di specie autoctone di grande importanza (come, ad esempio, il
tritone Triturus alpestris e la Rana montana nel Lazio).
Un commento a parte merita la L.R. n. 56/2000 della Regione Toscana (“Norme per la conservazione e la tutela degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche”), che va a tutelare non solo una gran numero di specie ma anche gli habitat frequentati da queste, designando in alcuni casi dei siti di interesse regionale (SIR); l’unico grave neo di questa norma è la regolamentazione dello sfruttamento delle rane a scopo commerciale che dimostra ancora una volta la scarsa considerazione del prezioso ruolo ecologico svolto da questi anfibi nella lotta “biologica” agli insetti molesti (come, ad esempio, i ditteri culicidi) e non tiene conto del deficitario status conoscitivo sulla salute delle specie che frequentano pozze, stagni e laghi spesso inquinati da sostanze chimiche di sintesi.
In conclusione di questa sintetica (e tutt’altro che esaustiva) panoramica inerente la tutela giuridica della piccola fauna, risulta evidente come sia oggi sempre più necessaria una norma quadro nazionale che consenta l’individuazione di strategie di “gestione naturalistica” da stabilire in base alle effettive priorità di conservazione della piccola fauna su scala locale, regionale, nazionale e comunitaria. La legislazione attuale, laddove esistente, non sembra essere il prodotto di una strategia pianificata e coordinata su più livelli ma il risultato di un processo casuale ed occasionale. Anche per questo le associazioni ambientaliste, le società scientifiche che si occupano di fauna e i cittadini sensibili alle tematiche di tutela e conservazione, devono raccogliere quanto prima questa “sfida” e colmare questa grave lacuna tutta italiana.

Dott. David Fiacchini

Coordinatore Nazionale
Commissione Conservazione della Societas Herpetologica Italica
www.unipv.it/webshi

Bibliografia citata:
SCALERA R., 2003 – Anfibi e Rettili italiani. Elementi di tutela e conservazione. Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Corpo Forestale dello Stato. Collana Verde (104), pp. 231
SCOCCIANTI C., 2001 - Amphibia: aspetti di ecologia della conservazione. WWF Italia, Sezione Toscana. Editore Guido Persichino Grafica, Firenze, pp. 430 Per informazioni: david.fiacchini@libero.it



TUTELARE I PIPISTRELLI PER DIFENDERCI DALLE ZANZARE

I pipistrelli sono animali molto specializzati e questa loro caratteristica li rende particolarmente sensibili alle modificazioni ambientali, specie se queste modificazioni sono insolitamente rapide come quelle di origine antropica. Di fatto, questi piccoli mammiferi volanti sono in forte declino in tutta Europa, ed è per questo che l’attività scientifica degli ultimi anni si deve occupare anche delle problematiche legate alla loro conservazione.
Tra i maggiori nemici delle 35 specie di pipistrelli che vivono in Italia, ci sono senz’altro l'inquinamento e la scomparsa di buoni rifugi dove riposare durante il giorno e dove sopravvivere all’inverno in stato di letargo. L'uso massiccio dei veleni per decimare gli insetti dannosi avvelena l'ambiente e tra i primi a patirne le conseguenze sono proprio i pipistrelli che, efficienti predatori di ogni tipo di insetti, accumulano veleno nei loro tessuti fino a restarne uccisi. Grave anche la situazione dei rifugi negli edifici, una volta sicuramente più numerosi quando le case rurali offrivano una quantità di tranquille soffitte, fresche cantine e fessure di ogni genere dove ripararsi. Oggi l’inquinamento delle campagne è in aumento, mentre i nuovi edifici sono certamente più confortevoli per noi, ma assai più avari di rifugi per i nostri amici pipistrelli.
Per contribuire alla conservazione di questo straordinario gruppo animale, il Comune di Fiesole ha messo a punto con gli zoologi della Specola un progetto per la costruzione di alcune bat-box, piccole casette di legno di poche decine di centimetri che, a titolo sperimentale saranno affidate a quei cittadini che si offriranno volontari. Le bat-box saranno appese in giardino o sotto la grondaia del tetto perché i pipistrelli vi facciano la casa, con la speranza che ripuliscano le zone circostanti dalle zanzare. In una notte, infatti, un pipistrello riesce a mangiarne anche 2mila.
Lo scopo del progetto è anche quello di sfatare superstizioni e leggende per far conoscere meglio questa importante componente della nostra biodiversità (i pipistrelli costituiscono il 30% delle specie di mammiferi presenti in Italia!) e comprendere il loro ruolo nell’ecosistema e la loro utilità anche per l'uomo.
Ma occorre agire in fretta per arrestare un declino che potrebbe divenire drammatico e non più recuperabile.

Dr. Paolo Agnelli

Mammals Collection Manager
Natural History Museum, Zoological Section "La Specola"
University of Florence
Via Romana 17, I-50125 Firenze, Italy
Tel. +39 055 2288.252 - Fax +39 055 225325
E-mail: pagne@specola.unifi.it
Web: www.unifi.it/msn

 3 Agosto 2006


link al MSN dell’Università di Firenze: http://www3.unifi.it/msn/Article81.html